“I MIGRANTI SONO UN TEMA DI DISTRAZIONE DI MASSA.
IL GOVERNO UNISCA IL PAESE”
Gualtiero Bassetti,
presidente della Cei: «Sull’immigrazione siamo arrivati alla xenofobia». E dà
il primo suggerimento a Conte: «Si ispiri all’umanesimo fiorentino per
pacificare l’Italia»
Intervista di Andrea Tornielli
al cardinale Gualtiero Bassetti,
presidente della Conferenza Episcopale
Italiana, su “La Stampa”, 23
giugno 2018
Un appello perché il
nuovo governo sappia «unire e pacificare» il Paese. L’invito a non usare i
migranti come tema di «distrazione di massa» e ad agire concretamente in favore
della famiglia. La proposta un grande piano organico per il territorio e le
opere d’arte. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza
episcopale italiana (Cei), parla con La Stampa delle preoccupazioni della
Chiesa italiana per la situazione del Paese.
Che cosa si aspetta la
Chiesa italiana dal nuovo governo?
«Auspichiamo un
governo che pensi veramente al bene comune partendo dalle famiglie, dai giovani
e dai poveri. In particolare, spero con tutto il cuore che il governo sappia
unire e pacificare, cercando di dare una risposta concreta a quel clima di
rancore sociale che serpeggia nel Paese. Sono sicuro che se il presidente Conte
saprà ispirarsi alle radici dell’umanesimo fiorentino potrà riuscire a vincere
questa grande sfida».
Il braccio di ferro
sulla nave Aquarius ha segnato una novità di approccio all’emergenza dei
migranti. Come giudica quanto è avvenuto?
«Questa vicenda fa
sorgere due grandi preoccupazioni: la prima riguarda la salvaguardia della vita
umana. La vita va difesa sempre e l’aiuto in mare non si può negare a nessuno.
Si tratta di una legge del mare, oserei dire laica, e di una scelta di civiltà:
non esistono vite indegne di essere salvate. La seconda preoccupazione si
riferisce invece al clima di opinione sui migranti. A volte si ha la sensazione
che i migranti siano un tema di “distrazione di massa” rispetto ad altri
problemi dell’Italia, dell’Europa e del mondo occidentale. Siamo così passati
da un’indifferenza generale a un’ostilità diffusa, fino alla xenofobia. Oggi,
attraverso una lettura semplificata, sembra che tutti i problemi delle società
occidentali derivino dai migranti. Ma non è così. La crisi economica, morale e
sociale ha radici profonde, che tocca le viscere della storia recente e
passata».
Qual è, secondo lei,
la via giusta per affrontare il fenomeno?
«Prima di tutto,
occorre restituire al fenomeno delle migrazioni la sua complessità senza
ridurlo ad una questione di speculazione politica. Una complessità che
dividerei in 3 grandi questioni.
La prima è una questione umanitaria: le vite umane vanno salvate tutte, senza se e senza ma. A partire dai bambini e dalle donne incinte.
La seconda è una grande questione internazionale, con mille implicazioni, che nasce nelle aree di crisi del pianeta e si sviluppa poi nei Paesi di transito dei flussi migratori. Vicende complesse di cui deve farsi carico, senza dubbio, la comunità internazionale.
E infine, c’è la questione dell’integrazione nelle società di accoglienza. E noi italiani ne sappiamo qualcosa. Ho ancora nella mente le parole di Monsignor Scalabrini quando descrive all'inizio del Novecento la sofferenza degli emigrati italiani negli Stati Uniti. Tre grandi questioni, dunque, e tre differenti modi di agire».
La prima è una questione umanitaria: le vite umane vanno salvate tutte, senza se e senza ma. A partire dai bambini e dalle donne incinte.
La seconda è una grande questione internazionale, con mille implicazioni, che nasce nelle aree di crisi del pianeta e si sviluppa poi nei Paesi di transito dei flussi migratori. Vicende complesse di cui deve farsi carico, senza dubbio, la comunità internazionale.
E infine, c’è la questione dell’integrazione nelle società di accoglienza. E noi italiani ne sappiamo qualcosa. Ho ancora nella mente le parole di Monsignor Scalabrini quando descrive all'inizio del Novecento la sofferenza degli emigrati italiani negli Stati Uniti. Tre grandi questioni, dunque, e tre differenti modi di agire».
Siamo al minimo
storico della natalità in Italia, una crisi demografica densa di conseguenze
per le generazioni future. Che cosa sperate dal nuovo ministro per la famiglia?
«Che riesca finalmente
a mettere la famiglia al primo posto, in modo propositivo e concreto, in ogni
azione di governo. Non servono tanti proclami, ciò che occorre sono le opere
fatte con intelligenza e sapienza cristiana. E soprattutto che riesca a fare
propria la proposta del Forum delle Famiglie sul “fattore famiglia”. Una grande
sfida a cui ancora nessuno ha dato una risposta».
C’è molta attenzione
allo spread e agli indici di borsa, di meno alle crescenti disuguaglianze:
siamo un Paese con nuove povertà, precariato, disoccupazione alta. Quali le
priorità e quali possibili soluzioni?
«In Italia ci sono
tanti tipi di povertà: dai precari ai disabili, dai neet a quella fascia di
popolazione adulta che esce dal mercato del lavoro e rischia di non rientrare
più. Ma senza dubbio l’emergenza povertà riguarda prima di tutto i giovani.
Bisogna lasciare spazio ai giovani, dare loro la possibilità di esprimere i
loro talenti. E poi lo dico da tempo: investire sulla bellezza dell’Italia.
Occorre un grande piano organico e virtuoso per la messa in sicurezza del
territorio, del paesaggio e delle opere d’arte. Utilizzando le parole di
Dostoevskij, sono fermamente convinto che la bellezza salverà l’Italia!».
Lei ha celebrato una
“Preghiera per l’Italia” dopo la formazione del nuovo governo, a conclusione
della lunga crisi politico-istituzionale. Perché?
«È da circa un anno,
da quando sono presidente della Cei, che parlo di un’Italia da rammendare: nel
suo tessuto sociale, geografico e politico. Penso fermamente che occorra un
nuovo patto sociale tra tutti per restituire dignità, pace e futuro a questo
Paese. L’Italia è un Paese fragile che necessita sia della solidità delle
istituzioni, che dell’unità del popolo. Da questa constatazione nasce prima
l’appello alla “Nostra Diletta Italia”, che riprende le parole di Benedetto XV
del 1915, e poi la “Preghiera per l’Italia”».
Le recenti inchieste
riportano al centro dell’attenzione il problema della corruzione. Quanto è
diffuso il fenomeno e come si combatte?
«Ho la sensazione che
in Italia il problema della corruzione sia di natura sistemica e che non si può
combattere solo con nuove leggi. Quello che più manca al nostro Paese è una
cultura della cosa pubblica, che è al tempo stesso cultura civica e della
legalità. Forse bisognerebbe sviluppare il pensiero di Giorgio La Pira sulle
città: nella sua visione non sono soltanto cumuli di pietra ma luoghi
dell’anima, da amare e da rispettare».
La quotidianità
politica delle dichiarazioni roboanti ha portato ad annunciare il censimento
per i rom. Che cosa ne pensa?
«A mio avviso non c’è
bisogno di un censimento quanto piuttosto dell’applicazione delle leggi
esistenti. Come Chiesa non possiamo non ricordare le parole rivolte ai rom da
Paolo VI: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi
siete al centro, voi siete nel cuore”. È una centralità che chiede a ciascuno
di fare la propria parte per assicurare a tutti degne condizioni di vita. Più
in generale, teniamo bene a mente cosa è successo in passato e facendo molta
attenzione non solo a quello che può accadere oggi ma anche a quello che
potrebbe succedere in futuro».