domenica 5 giugno 2016

Ritiro Spirituale per Sacerdoti. Seconda meditazione

GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA
RITIRO SPIRITUALE GUIDATO DAL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEI SACERDOTI
SECONDA MEDITAZIONE
Basilica di Santa Maria Maggiore - Giovedì, 2 giugno 2016

(il video della  seconda meditazione è qui di fianco, nella colonna a destra)

Seconda meditazione: il ricettacolo della Misericordia

Dopo aver pregato su quella “dignità vergognata” e “vergogna dignitosa”, che è il frutto della Misericordia, andiamo avanti in questa meditazione sul “ricettacolo della Misericordia”. E’ semplice. Io potrei dire una frase e andarmene, perché è uno solo: il ricettacolo della Misericordia è il nostro peccato. E’ così semplice. Ma spesso accade che il nostro peccato è come un colabrodo, come una brocca bucata dalla quale scorre via la grazia in poco tempo: «Perché due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger2,13). Da qui la necessità che il Signore esplicita a Pietro di “perdonare settanta volte sette”. Dio non si stanca di perdonare, ma siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Dio non si stanca di perdonare, anche quando vede che la sua grazia sembra non riuscire a mettere forti radici nella terra del nostro cuore, quando vede che la strada è dura, piena di erbacce e sassosa. E’ semplicemente perché Dio non è pelagiano, e per questo non si stanca di perdonare. Egli torna nuovamente a seminare la sua misericordia e il suo perdono, e torna e torna e torna… settanta volte sette.

Cuori ri-creati

Tuttavia, possiamo fare un passo ulteriore in questa misericordia di Dio, che è sempre “più grande della nostra coscienza” di peccato. Il Signore non solo non si stanca di perdonarci, ma rinnova anche l’otre nel quale riceviamo il suo perdono. Utilizza un otre nuovo per il vino nuovo della sua misericordia, perché non sia come un vestito rattoppato o un otre vecchio. E questo otre è la sua misericordia stessa: la sua misericordia in quanto sperimentata in noi stessi e in quanto la mettiamo in pratica aiutando gli altri. Il cuore che ha ricevuto misericordia non è un cuore rattoppato ma un cuore nuovo, ri-creato. Quello di cui dice Davide: «Crea in me un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 50,12). Questo cuore nuovo, ri-creato, è un buon recipiente. La liturgia esprime l’anima della Chiesa quando ci fa pronunciare quella bella orazione: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti» (Veglia Pasquale, Orazione dopo la Prima Lettura). Pertanto, questa seconda creazione è ancora più meravigliosa della prima. È un cuore che sa di essere ricreato grazie alla fusione della sua miseria con il perdono di Dio, e per questo “è un cuore che ha ricevuto misericordia e dona misericordia». È così: sperimenta i benefici della grazia sulla sua ferita e sul suo peccato, sente che la misericordia pacifica la sua colpa, inonda con amore la sua aridità, riaccende la sua speranza. Per questo, quando, nello stesso tempo e con la medesima grazia, perdona chi ha qualche debito con lui e commisera coloro che sono anch’essi peccatori, questa misericordia si radica in una terra buona, nella quale l’acqua non si perde ma dà vita. Nell’esercizio di questa misericordia che ripara il male altrui, nessuno è migliore, per aiutare a curarlo, di colui che mantiene viva l’esperienza di essere stato oggetto di misericordia circa il medesimo male. Guarda te stesso; ricordati della tua storia; raccontati la tua storia; e vi troverai tanta misericordia. Vediamo che, tra coloro che lavorano per combattere le dipendenze, coloro che si sono riscattati sono di solito quelli che meglio comprendono, aiutano e sanno chiedere agli altri. E il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio. E possiamo farci la domanda: io come mi confesso? Quasi tutti i grandi santi sono stati grandi peccatori o, come santa Teresina, erano consapevoli che era pura grazia preveniente il fatto di non esserlo stati.

Così, il vero recipiente della misericordia è la stessa misericordia che ciascuno ha ricevuto e gli ha ricreato il cuore, quello è «l’otre nuovo» di cui parla Gesù (cfr Lc 5,37), il “pozzo risanato”.

Ci poniamo così nell’ambito del mistero del Figlio, di Gesù, che è la misericordia del Padre fatta carne. L’immagine definitiva del ricettacolo della misericordia la troviamo attraverso le piaghe del Signore risorto, immagine dell’impronta del peccato restaurato da Dio, che non si cancella totalmente né si infetta: è una cicatrice, non una ferita purulenta. Le piaghe del Signore. San Bernardo ha due sermoni bellissimi sulle piaghe del Signore. Lì, nelle piaghe del Signore troviamo la misericordia. Lui è coraggioso, dice: Ti senti perduto? Ti senti male? Entra lì, entra nelle viscere del Signore e lì troverai misericordia. In quella “sensibilità” propria delle cicatrici, che ci ricordano la ferita senza molto dolore e la cura senza che ci dimentichiamo la fragilità, lì ha la sua sede la misericordia divina: nelle nostre cicatrici. Le piaghe del Signore, che rimangono tuttora, le ha portate con sé: il corpo bellissimo, i lividi non ci sono, ma le piaghe ha voluto portarle con sé. E le nostre cicatrici. A tutti noi succede, quando andiamo a fare una visita medica e abbiamo qualche cicatrice, il medico ci dice: “Ma questo intervento per che cos’era?”. Guardiamo le cicatrici dell’anima: questo intervento che hai fatto Tu, con la Tua misericordia, che hai guarito Tu… Nella sensibilità di Cristo risorto che conserva le sue piaghe, non solo nei piedi e nelle mani, ma nel suo cuore che è un cuore piagato, troviamo il giusto senso del peccato e della grazia. Lì, nel cuore piagato. Contemplando il cuore piagato del Signore noi ci specchiamo in Lui. Si assomigliano, il nostro cuore e il suo, per il fatto che entrambi sono piagati e risuscitati. Però sappiamo che il suo era puro amore e venne piagato perché accettò di essere vulnerato; il nostro cuore, invece, era pura piaga, che venne sanata perché accettò di essere amata. In quell’accettazione si forma il ricettacolo della Misericordia.

I nostri santi hanno ricevuto la misericordia

Ci può far bene contemplare altri che si sono lasciati ricreare il cuore dalla misericordia, e osservare in quale “ricettacolo” l’hanno ricevuta.

Paolo la riceve nel duro e inflessibile ricettacolo del suo giudizio modellato dalla Legge. La sua durezza di giudizio lo spingeva ad essere un persecutore. La misericordia lo trasforma in modo tale che, mentre diventa un cercatore dei più lontani, di quelli di mentalità pagana, per altro verso è il più comprensivo e misericordioso verso quelli che erano come lui era stato. Paolo desiderava essere considerato anatema pur di salvare i suoi. Il suo giudizio si consolida “non giudicando neppure sé stesso”, ma lasciandosi giustificare da un Dio che è più grande della sua coscienza, facendo appello a Gesù Cristo che è avvocato fedele, dal cui amore niente e nessuno lo può separare. La radicalità dei giudizi di Paolo sulla misericordia incondizionata di Dio, che supera la ferita di fondo, quella che fa sì che abbiamo due leggi (quella della carne e quella dello Spirito), è tale perché recepisce una mentalità sensibile all’assolutezza della verità, ferita proprio lì dove la Legge e la Luce diventano una trappola. La famosa  “spina” che il Signore non gli toglie è il ricettacolo in cui Paolo riceve la misericordia di Dio (cfr 2 Cor 12,7).

Pietro riceve la misericordia nella sua presunzione di uomo assennato. Era assennato con il solido e sperimentato buon senso di un pescatore, che sa per esperienza quando si può pescare e quando no. È la sensatezza di chi, quando si entusiasma camminando sulle acque e ottenendo una pesca miracolosa e fissa troppo lo sguardo su di sé, sa chiedere aiuto all’unico che lo può salvare. Questo Pietro è stato sanato nella ferita più profonda che si può avere: quella di rinnegare l’amico. Forse il rimprovero di Paolo, quando gli rinfaccia la sua doppiezza, è legato a questo. Sembrerebbe che Paolo sentisse di essere stato il peggiore “prima” di conoscere Cristo; però Pietro, dopo averlo conosciuto, lo aveva rinnegato… Tuttavia, essere risanato proprio in quello, trasformò Pietro in un Pastore misericordioso, in una pietra solida sopra la quale si può sempre edificare, perché è pietra debole che è stata sanata, non una pietra che nella sua forza fa inciampare il più debole. Pietro è il discepolo che il Signore nel Vangelo corregge di più. E’ il più “bastonato”! Lo corregge costantemente, fino a quell’ultimo: «A te che importa? – addirittura! - Tu seguimi» (Gv21,22). La tradizione dice che gli appare di nuovo quando Pietro sta fuggendo da Roma. Il segno di Pietro crocifisso a testa in giù è forse il più eloquente di questo ricettacolo di una testa dura che, per poter ricevere misericordia, si mette in basso anche mentre offre la suprema testimonianza di amore al suo Signore. Pietro non vuole concludere la sua vita dicendo: “Ho imparato la lezione”, ma dicendo: “Poiché la mia testa non imparerà mai, la metto in basso». Più in alto di tutto, i piedi lavati dal Signore. Quei piedi sono per Pietro il ricettacolo attraverso il quale riceve la misericordia del suo Amico e Signore.

Giovanni sarà guarito nella sua superbia di volere riparare al male col fuoco e finirà per essere colui che scrive «figlioli miei», e sembra uno di quei nonnini buoni che parlano solo di amore, lui che era stato «il figlio del tuono» (Mc 3,17).

Agostino è stato guarito nella sua nostalgia di essere arrivato tardi all’appuntamento: questo lo faceva soffrire tanto, e in quella nostalgia è stato guarito. «Tardi ti ho amato»; e troverà quel modo creativo di riempire d’amore il tempo perduto, scrivendo le sue Confessioni.

Francesco riceve sempre di più la misericordia, in molti momenti della sua vita. Forse il ricettacolo definitivo, che diventò piaghe reali, più che baciare il lebbroso, sposarsi con madonna povertà e sentire ogni creatura come sorella, sarà stato il dover custodire in misericordioso silenzio l’Ordine che aveva fondato. Qui io trovo la grande eroicità di Francesco: il dover custodire in misericordioso silenzio l’Ordine che aveva fondato. Questo è il suo grande ricettacolo della misericordia. Francesco vede che i suoi fratelli si dividono prendendo come bandiera la stessa povertà. Il demonio ci fa litigare tra di noi nel difendere le cose più sante ma con spirito cattivo.

Ignazio venne guarito nella sua vanità e, se questo è stato il recipiente, possiamo intuire quanto fosse grande quel desiderio di vanagloria, che venne trasformato in una tale ricerca della maggior gloria di Dio.

Nel Diario di un curato di campagna, Bernanos ci presenta la vita di un parroco di paese, ispirandosi alla vita del santo Curato d’Ars. Ci sono due passi molto belli, che narrano gli intimi pensieri del curato negli ultimi momenti della sua improvvisa malattia: «Le ultime settimane che Dio mi concederà di continuare a sostenere la responsabilità della parrocchia… cercherò di agire meno preoccupato per il futuro, lavorerò solamente per il presente. Questo tipo di lavoro sembra fatto su misura per me... E poi, non ho successo che nelle cose piccole. E se sono stato frequentemente provato dall’inquietudine, devo riconoscere che trionfo nelle minuscole gioie». Cioè, un recipiente della misericordia piccolino, è legato alle minuscole gioie della nostra vita pastorale, lì dove possiamo ricevere ed esercitare la misericordia infinita del Padre in piccoli gesti. I piccoli gesti dei preti.

L’altro passo dice: «Tutto è ormai finito. Quella specie di sfiducia che avevo di me, della mia persona, si è appena dissolta, credo per sempre. La lotta è finita. Ormai non ne vedo la ragione. Mi sono riconciliato con me stesso, con questo relitto che sono. Odiarsi è più facile di quanto non si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Però, se ogni orgoglio morisse in noi, la grazia delle grazie sarebbe solo amare sé stessi umilmente, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù Cristo». Ecco il recipiente: «Amare umilmente sé stessi, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù Cristo». E’ un recipiente comune, come una vecchia brocca che possiamo chiedere in prestito ai più poveri.

Il Cura Brochero – è della mia patria! –, il Beato argentino che presto sarà canonizzato, “si lasciò lavorare il cuore dalla misericordia di Dio”. Il suo ricettacolo finì per essere il suo stesso corpo lebbroso. Egli, che sognava di morire galoppando, guadando qualche fiume della sierra per andare a dare l’unzione a qualche malato. Una delle sue ultime frasi fu: «Non c’è gloria compiuta in questa vita». Questo ci farà pensare: «Non c’è gloria compiuta in questa vita». «Io sono molto contento di quello che ha fatto con me riguardo alla vista e lo ringrazio molto per questo”. La lebbra lo aveva reso cieco. «Quando ero in grado di servire l’umanità, ha conservato integri e robusti i miei sensi. Oggi, che non posso più, mi ha privato di uno dei sensi del corpo. In questo mondo non c’è gloria compiuta, e siamo pieni di miserie». Molte volte le nostre cose rimangono a metà e, pertanto, uscire da sé stessi è sempre una grazia. Ci viene concesso di “lasciare le cose” perché le benedica e le perfezioni il Signore. Noi non dobbiamo preoccuparci molto. Questo ci permette di aprirci ai dolori e alle gioie dei nostri fratelli. Era il Cardinale Van Thuán a dire che, nel carcere, il Signore gli aveva insegnato a distinguere tra “le cose di Dio”, alle quali si era dedicato nella sua vita quando era in libertà come sacerdote e vescovo, e Dio stesso, al quale si dedicava mentre era incarcerato (cfr Cinque pani e due pesci, San Paolo 1997). E così potremmo continuare, con i santi, cercando come era il ricettacolo della loro misericordia. Ma ora passiamo alla Madonna: siamo nella sua casa!

Maria come recipiente e fonte di Misericordia

Salendo la scala dei santi, nella ricerca dei recipienti della misericordia, arriviamo alla Madonna. Ella è il recipiente semplice e perfetto, con il quale ricevere e distribuire la misericordia. Il suo “sì” libero alla grazia è l’immagine opposta rispetto al peccato che condusse il figlio prodigo verso il nulla. Ella porta in sé una misericordia che è al tempo stesso molto sua, molto della nostra anima e molto ecclesiale. Come afferma nel Magnificat: si sa guardata con bontà nella sua piccolezza e sa guardare come la misericordia di Dio raggiunge tutte le generazioni. Ella sa vedere le opere che tale misericordia dispiega e si sente “accolta” insieme a tutto Israele da tale misericordia. Ella custodisce la memoria e la promessa dell’infinita misericordia di Dio verso il suo popolo. Il suo è ilMagnificat di un cuore integro, non bucato, che guarda la storia e ogni persona con la sua materna misericordia.

In quel momento trascorso da solo con Maria, che mi è stato regalato dal popolo messicano, con lo sguardo rivolto alla Madonna, la Vergine di Guadalupe, e lasciandomi guardare da lei, le ho chiesto per voi, cari sacerdoti, che siate buoni preti. L’ho detto, tante volte. E nel discorso ai Vescovi ho detto loro che avevo riflettuto a lungo sul mistero dello sguardo di Maria, sulla sua tenerezza e la sua dolcezza che ci infonde coraggio per lasciarci raggiungere dalla misericordia di Dio. Vorrei adesso ricordarvi alcuni “modi” che ha la Madonna di guardare, specialmente i suoi sacerdoti, perché attraverso di noi vuole guardare la sua gente.

Maria ci guarda in modo tale che uno si sente accolto nel suo grembo. Ella ci insegna che «l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia» (Discorso ai Vescovi del Messico, 13 febbraio 2016). Quello che la vostra gente cerca negli occhi di Maria è «un grembo in cui gli uomini, sempre orfani e diseredati, vanno cercando una protezione, una casa». E questo è legato al suo modo di guardare: lo spazio che i suoi occhi aprono è quello di un grembo, non quello di un tribunale o di un consultorio “professionale”. Se qualche volta notate che si è indurito il vostro sguardo - per il lavoro, per la stanchezza… succede a tutti -, che quando avvicinate la gente provate fastidio o non provate nulla, fermatevi e guardate di nuovo a lei, guardatela con gli occhi dei più piccoli della vostra gente, che mendicano un grembo, ed Ella vi purificherà lo sguardo da ogni “cataratta” che non lascia vedere Cristo nelle anime, vi guarirà da ogni miopia che rende fastidiosi i bisogni della gente, che sono quelli del Signore incarnato, e vi guarirà da ogni presbiopia che si perde i dettagli, la nota scritta “in piccolo”, dove si giocano le realtà importanti della vita della Chiesa e della famiglia. Lo sguardo della Madonna guarisce.

Un altro “modo di guardare di Maria” è legato al tessuto: Maria osserva “tessendo”, vedendo come può combinare a fin di bene tutte le cose che la vostra gente le porta. Ho detto ai Vescovi messicani che «nel manto dell’anima messicana Dio ha tessuto, con il filo delle impronte meticce della vostra gente, il volto della sua manifestazione nella “Morenita”» (ibid.). Un Maestro spirituale insegna che quello che si afferma di Maria in maniera speciale, si afferma della Chiesa in modo universale e di ogni anima singolarmente (cfr Isacco della Stella, Serm. 51: PL 194, 1863). Vedendo come Dio ha tessuto il volto e la figura della Guadalupana nella tilma di Juan Diego, possiamo pregare contemplando come tesse la nostra anima e la vita della Chiesa. Dicono che non si può vedere come è “dipinta” l’immagine. È come se fosse stampata. Mi piace pensare che il miracolo non sia stato solo quello di “stampare o dipingere l’immagine con un pennello”, ma che “si è ricreato l’intero manto”, trasfigurato da capo a piedi, e ciascun filo – quelli che le donne fin da piccole imparano a tessere, e per i capi di vestiario più fini si servono delle fibre del cuore del maguey(dalle cui foglie si estraggono i fili) - , ogni filo che occupava il suo posto venne trasfigurato, assumendo quelle sfumature che risaltano al loro posto stabilito e, intessuto con gli altri fili, in ugual modo trasfigurati, fanno apparire il volto della Madonna e tutta la sua persona e ciò che le sta attorno. La misericordia fa la stessa cosa con noi: non ci “dipinge” dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie – con quelli! – e dei nostri peccati – con quelli! –, intessuti con amore di Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù. Siate, pertanto, sacerdoti «capaci di imitare questa libertà di Dio, scegliendo ciò che è umile per manifestare la maestà del suo volto, e capaci di imitare questa pazienza divina nel tessere, col filo sottile dell’umanità che incontrate, quell’uomo nuovo che il vostro Paese attende. Non lasciatevi prendere dalla vana ricerca di cambiare popolo - è una nostra tentazione: “Chiederò al vescovo di trasferirmi…” - come se l’amore di Dio non avesse abbastanza forza per cambiarlo» (Discorso ai Vescovi del Messico, 13 febbraio 2016).

Il terzo modo – in cui guarda la Madonna – è quello dell’attenzione: Maria osserva con attenzione, si dedica tutta e si coinvolge interamente con chi ha di fronte, come una madre quando è tutta occhi per il suo figlioletto che le racconta qualcosa. E anche le mamme quando il bambino è molto piccolo, imitano la voce del figliolo per fargli uscire le parole: si fanno piccole. «Come insegna la bella tradizione guadalupana – e continuo con il riferimento al Messico –, la “Morenita” custodisce gli sguardi di coloro che la contemplano, riflette il volto di coloro che la incontrano. Occorre imparare che c’è qualcosa di irripetibile in ciascuno di coloro che ci guardano alla ricerca di Dio - non tutti ci guardano nello stesso modo -. Tocca a noi non renderci impermeabili a tali sguardi» (ibid.). Un sacerdote, un prete che si rende impermeabile agli sguardi è chiuso in sé stesso. «Custodire in noi ognuno di loro, conservandoli nel cuore, proteggendoli. Solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che bussano alla sua porta è capace di parlare loro di Dio» (ibid.). Se tu non sei capace di custodire il volto degli uomini che ti bussano alla porta, non sarai capace di parlare loro di Dio. «Se non decifriamo le loro sofferenze, se non ci rendiamo conto delle loro necessità, nulla potremo offrire loro. La ricchezza che abbiamo scorre unicamente quando incontriamo la pochezza di quelli che mendicano, e tale incontro si realizza precisamente nel nostro cuore di Pastori» (ibid.). Ai Vescovi dissi che prestino attenzione a voi, loro sacerdoti, «che non vi lascino esposti alla solitudine e all’abbandono, preda della mondanità che divora il cuore» (ibid.). Il mondo ci osserva con attenzione ma per “divorarci”, per trasformarci in consumatori… Tutti abbiamo bisogno di essere guardati con attenzione, con interesse gratuito, diciamo. «State attenti – dicevo ai Vescovi – e imparate a leggere gli sguardi dei vostri sacerdoti, per rallegrarvi con loro quando sentono la gioia di raccontare quanto “hanno fatto e insegnato” (Mc 6,30), e anche per non tirarsi indietro quando si sentono un po’ umiliati e non possano fare altro che piangere perché hanno rinnegato il Signore (cfr Lc 22,61-62), e anche per sostenerli, […] in comunione con Cristo, quando qualcuno, abbattuto, uscirà con Giuda “nella notte” (cfr Gv 13,30). In queste situazioni, che non manchi mai la paternità di voi Vescovi con i sacerdoti. Promuovete la comunione tra di loro; portate a perfezione i loro doni; integrateli nelle grandi cause, perché il cuore dell’Apostolo non è stato fatto per cose piccole» (ibid.).

Infine, come guarda Maria? Maria guarda in modo “integro”, unendo tutto, il nostro passato, il presente e il futuro. Non ha uno sguardo frammentato: la misericordia sa vedere la totalità e intuisce ciò che è più necessario. Come Maria a Cana, che è capace di provare compassione anticipatamente per quello che arrecherà la mancanza di vino nella festa di nozze e chiede a Gesù che vi ponga rimedio, senza che nessuno se ne renda conto, così, l’intera nostra vita sacerdotale la possiamo vedere come “anticipata dalla misericordia” di Maria, che, prevedendo le nostre carenze, ha provveduto tutto quello che abbiamo. Se nella nostra vita c’è un po’ di “vino buono”, non è per merito nostro, ma per la sua “anticipata misericordia”, quella che lei già canta nel Magníficat: come il Signore “ha guardato con bontà alla sua piccolezza” e “si è ricordato della sua (alleanza di) misericordia”, una “misericordia che si estende di generazione in generazione” sopra i poveri e gli oppressi (cfr Lc 1,46-55). La lettura che compie Maria è quella della storia come misericordia.

Possiamo concludere recitando la Salve Regina, nelle cui invocazioni riecheggia lo spirito del Magnificat. Ella è la Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra. E quando voi sacerdoti aveste momenti oscuri, brutti, quando non sapeste come arrangiarvi nel più intimo del vostro cuore, non dico solo “guardate la Madre”, quello dovete farlo, ma: “andate là e lasciatevi guardare da Lei, in silenzio, anche addormentandovi. Questo farà sì che in quei momenti brutti, forse con tanti sbagli che avete fatto e che vi hanno portato a quel punto, tutta questa sporcizia diventi ricettacolo di misericordia. Lasciatevi guardare dalla Madonna. I suoi occhi misericordiosi sono quelli che consideriamo il miglior recipiente della misericordia, nel senso che possiamo bere in essi quello sguardo indulgente e buono, di cui abbiamo sete come solo si può avere sete di uno sguardo. Quegli occhi misericordiosi sono anche quelli che ci fanno vedere le opere di misericordia di Dio nella storia degli uomini e scoprire Gesù nei loro volti. In Maria troviamo la terra promessa – il Regno della misericordia instaurato dal Signore – che viene, già in questa vita, dopo ogni esilio in cui ci caccia il peccato. Presi per mano da lei e aggrappandoci al suo manto. Io nel mio studio ho una bella immagine, che mi ha regalato Padre Rupnik, l’ha fatta lui, della “Synkatabasis”: è lei che fa scendere Gesù e le sue mani sono come scalini. Ma quello che mi piace di più è che Gesù in una mano ha la pienezza della Legge e con l’altra si aggrappa al manto della Madonna: anche Lui si è aggrappato al manto della Madonna. E la tradizione russa, i monaci, i vecchi monaci russi ci dicono che nelle turbolenze spirituali bisogna avere rifugio sotto il manto della Madonna. La prima antifona mariana di Occidente è questa: “Sub tuum praesidium”. Il manto della Madonna. Non avere vergogna, non fare grandi discorsi, stare lì e lasciarsi coprire, lasciarsi guardare. E piangere. Quando troviamo un prete che è capace di questo, di andare dalla Madre e piangere, con tanti peccati, io posso dire: è un buon prete, perché è un buon figlio. Sarà un buon padre. Presi per mano da lei e sotto il suo sguardo possiamo cantare con gioia le grandezze del Signore. Possiamo dirgli: La mia anima ti canta, Signore, perché hai guardato con bontà l’umiltà e la piccolezza del tuo servo. Beato me, che sono stato perdonato! La tua misericordia, quella che hai avuto verso tutti i tuoi santi e con tutto il tuo popolo fedele, ha raggiunto anche me. Mi sono perso, inseguendo me stesso, per la superbia del mio cuore, però non ho occupato nessun trono, Signore, e la mia unica gloria è che tua Madre mi prenda in braccio, mi copra con il suo manto e mi tenga vicino al suo cuore. Desidero essere amato da te come uno tra i più umili del tuo popolo, saziare con il tuo pane quelli che hanno fame di te. Ricordati Signore della tua alleanza di misericordia con i tuoi figli, i sacerdoti del tuo popolo. Che con Maria possiamo essere segno e sacramento della tua misericordia.

giovedì 2 giugno 2016

Ritiro Spirituale per Sacerdoti. Prima meditazione

GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA
RITIRO SPIRITUALE GUIDATO DAL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEI SACERDOTI
PRIMA MEDITAZIONE
Basilica di San Giovanni in Laterano - Giovedì, 2 giugno 2016

(il video della prima meditazione è qui di fianco, nella colonna a destra)

Esercizi per i sacerdoti 2016

Buongiorno cari sacerdoti!

Cominciamo questa giornata di ritiro spirituale. Credo che ci farà bene pregare gli uni per gli altri, in comunione. Un ritiro, ma in comunione, tutti.

Ho scelto il tema della misericordia. Prima una piccola introduzione, per tutto il ritiro.

La misericordia, nel suo aspetto più femminile, è il viscerale amore materno, che si commuove di fronte alla fragilità della sua creatura appena nata e la abbraccia, fornendo tutto quello che le manca perché possa vivere e crescere (rahamim); e, nel suo aspetto propriamente maschile, è la fedeltà forte del Padre che sempre sostiene, perdona e torna a rimettere in cammino i suoi figli. La misericordia è tanto il frutto di una “alleanza” - per questo si dice che Dio si ricorda del suo (patto di) misericordia (hesed) -, quanto un “atto” gratuito di benevolenza e bontà che sorge dalla nostra più profonda psicologia e si traduce in un’opera esterna (eleos, che diventa elemosina). Questa inclusività permette che sia sempre alla portata di tutti agire con misericordia, provare compassione per chi soffre, commuoversi per chi ha bisogno, indignarsi, il rivoltarsi delle viscere di fronte ad una patente ingiustizia e porsi immediatamente a fare qualcosa di concreto, con rispetto e tenerezza, per porre rimedio alla situazione. E, partendo da questo sentimento viscerale, è alla portata di tutti guardare a Dio dalla prospettiva di questo primo e ultimo attributo con il quale Gesù ha voluto rivelarlo per noi: il nome di Dio è Misericordia.

Quando meditiamo sulla misericordia accade qualcosa di speciale. La dinamica degli Esercizi Spirituali si potenzia dall’interno. La misericordia fa vedere che le vie oggettive della mistica classica – purgativa, illuminativa e unitiva – non sono mai fasi successive, che si possano lasciare alle spalle. Abbiamo sempre bisogno di nuova conversione, di maggiore contemplazione e di un rinnovato amore. Queste tre fasi si intrecciano e ritornano. Niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia – e questa non è una esagerazione: niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia – sia che si tratti della misericordia con la quale il Signore ci perdona i nostri peccati, sia che si tratti della grazia che ci dà per praticare le opere di misericordia in suo nome. Niente illumina di più la fede che il purgare i nostri peccati, e niente vi è di più chiaro che Matteo 25 e quel «Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia» (Mt 5,7) per comprendere qual è la volontà di Dio, la missione alla quale ci invia. Alla misericordia si può applicare quell’insegnamento di Gesù: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt 7,2). Permettetemi, ma io penso qui a quei confessori impazienti, che “bastonano” i penitenti, che li rimproverano. Ma così li tratterà Dio! Almeno per questo, non fate queste cose. La misericordia ci permette di passare dal sentirci oggetto di misericordia al desiderio di offrire misericordia. Possono convivere, in una sana tensione, il sentimento di vergogna per i propri peccati con il sentimento della dignità alla quale il Signore ci eleva. Possiamo passare senza preamboli dalla distanza alla festa, come nella parabola del figlio prodigo, e utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato. Ripeto questo, che è la chiave della prima mediazione: utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato. La misericordia ci spinge a passare dal personale al comunitario. Quando agiamo con misericordia, come nei miracoli della moltiplicazione dei pani, che nascono dalla compassione di Gesù per il suo popolo e per gli stranieri, i pani si moltiplicano nella misura in cui vengono condivisi.

Tre suggerimenti

Tre suggerimenti per questa giornata di ritiro. La gioiosa e libera familiarità che si stabilisce a tutti i livelli tra coloro che si relazionano tra loro con il vincolo della misericordia – familiarità del Regno di Dio, così come Gesù lo descrive nelle sue parabole – mi porta a suggerirvi tre cose per la vostra preghiera personale di questo giorno.

La prima ha a che vedere con due consigli pratici che dà sant’Ignazio - mi scuso per la pubblicità “di famiglia” - il quale dice: «Non è il molto sapere che riempie e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose di Dio interiormente» (Esercizi Spirituali, 2). Sant’Ignazio aggiunge che lì dove uno trova quello che desidera e prova gusto, lì si fermi in preghiera «senza avere l’ansia di passare ad altro, finché mi soddisfi» (ibid., 76). Così che, in queste meditazioni sulla misericordia, uno può iniziare da dove più gli piace e lì soffermarsi, dal momento che sicuramente un’opera di misericordia vi condurrà alle altre. Se iniziamo ringraziando il Signore, che in modo stupendo ci ha creati e in modo ancor più stupendo ci ha redenti, sicuramente questo ci condurrà a provare pena per i nostri peccati. Se cominciamo col provare compassione per i più poveri e lontani, sicuramente sentiremo anche noi la necessità di ricevere misericordia.

Il secondo suggerimento per pregare ha a che vedere con un nuovo modo di usare la parola misericordia. Come vi sarete resi conto, nel parlare di misericordia a me piace usare la forma verbale: bisogna dare misericordia (misericordiar in spagnolo, “misericordiare”, dobbiamo forzare la lingua) per ricevere misericordia, per essere “misericordiati” (ser misericordiados). “Ma Padre, questo non è italiano!” – “Si, ma è la forma che io trovo per andare dentro: “misericordiare” per “essere misericordiato”. Il fatto che la misericordia mette in contatto una miseria umana con il cuore di Dio, fa in modo che l’azione nasca immediatamente. Non si può meditare sulla misericordia senza che tutto si metta in azione. Pertanto, nella preghiera, non fa bene intellettualizzare. Rapidamente, con l’aiuto della Grazia, il nostro dialogo con il Signore deve concretizzarsi su quale mio peccato richieda che si posi in me la Tua misericordia, Signore, dove sento più vergogna e più desidero riparare; e rapidamente dobbiamo parlare di quello che più ci commuove, di quei volti che ci portano a desiderare intensamente di darci da fare per rimediare alla loro fame e sete di Dio, di giustizia e tenerezza. La misericordia la si contempla nell’azione. Ma un tipo di azione che è onninclusiva: la misericordia include tutto il nostro essere – viscere e spirito – e tutti gli esseri.

L’ultimo suggerimento per la giornata di oggi riguarda il frutto degli esercizi, vale a dire, la grazia che occorre chiedere e che è, direttamente, quella di diventare sacerdoti sempre più capaci di ricevere e dare misericordia. Una delle cose più belle, che mi commuovono, è la confessione di un sacerdote: è una cosa grande, bella, perché quest’uomo che si avvicina per confessare i propri peccati è lo stesso che poi offre l’orecchio al cuore di un’altra persona che viene a confessare i suoi. Possiamo centrarci sulla misericordia perché è la realtà essenziale, definitiva. Attraverso gli scalini della misericordia (cfr Enc. Laudato si’, 77) possiamo scendere fino al punto più basso della condizione umana – fragilità e peccato inclusi – e ascendere fino al punto più alto della perfezione divina: «Siate misericordiosi (perfetti) come è misericordioso il Padre vostro». Però sempre per “raccogliere” solamente più misericordia. Da qui devono provenire frutti di conversione della nostra mentalità istituzionale: se le nostre strutture non si vivono e non si utilizzano per meglio ricevere la misericordia di Dio e per essere più misericordiosi con gli altri, possono trasformarsi in qualcosa di molto diverso e controproducente. Di questo in alcuni documenti della Chiesa e in alcuni discorsi dei Papi si parla spesso: cioè della conversione istituzionale, la conversione pastorale.

Questo ritiro spirituale, pertanto, si incamminerà per il sentiero di questa “semplicità evangelica” che comprende e compie tutte le cose in chiave di misericordia. E di una misericordia dinamica, non come un sostantivo cosificato e definito, né come aggettivo che decora un po’ la vita, ma come verbo – operare misericordia e ricevere misericordia, “misericordiare” ed “essere misericordiato”. E questo ci proietta verso l’azione nel cuore del mondo. E inoltre, come misericordia «sempre più grande», come una misericordia che cresce e aumenta, avanzando di bene in meglio e passando dal meno al più, poiché l’immagine che Gesù ci offre è quella del Padre sempre più grande – Deus semper maior – e la cui misericordia infinita “cresce” - se si può dire così - e non ha né cima né fondo, perché proviene dalla sua sovrana libertà.

Prima meditazione: dalla distanza alla festa

E adesso passiamo alla prima meditazione. Ho messo come titolo “Dalla distanza alla festa”. Se la misericordia del Vangelo è, come abbiamo detto, un eccesso di Dio, un inaudito straripamento, la prima cosa da fare è guardare dove il mondo di oggi, e ciascuna persona, ha più bisogno di un eccesso di amore così. Prima di tutto domandarci qual è il ricettacolo per una tale misericordia, qual è il terreno deserto e secco per un tale straripamento di acqua viva; quali sono le ferite per questo olio balsamico; quale è la condizione di orfano che necessita un tale prodigarsi in affetto e attenzioni; quale la distanza per una sete così grande di abbraccio e di incontro…

La parabola che vi propongo per questa meditazione è quella del Padre misericordioso (cfr Lc 15,11-31). Ci poniamo nell’ambito del mistero del Padre. E mi viene dal cuore incominciare da quel momento in cui il figlio prodigo si trova in mezzo al porcile, in quell’inferno dell’egoismo che ha fatto tutto quello che voleva e, dove, invece di essere libero, si ritrova schiavo. Osserva i maiali che mangiano ghiande..., prova invidia e gli viene nostalgia. Nostalgia: parola chiave. Nostalgia del pane appena sfornato che i domestici a casa, a casa di suo padre, mangiano per colazione. La nostalgia è un sentimento potente. Ha a che fare con la misericordia perché ci allarga l’anima. Ci fa ricordare il bene primario – la patria da cui proveniamo – e risveglia in noi la speranza di ritornare. Il nostos algos. In questo ampio orizzonte della nostalgia, questo giovane – dice il Vangelo – rientrò in sé stesso e si sentì miserabile. E ognuno di noi può cercare o lasciarsi portare a quel punto dove si sente più miserabile. Ognuno di noi ha il suo segreto di miseria dentro… Bisogna chiedere la grazia di trovarlo.

Senza soffermarci ora a descrivere la miseria del suo stato, passiamo a quell’altro momento in cui, dopo che suo Padre lo ha abbracciato e baciato con trasporto, egli si ritrova sporco, ma vestito a festa. Perché il padre non gli dice: “Va’, fatti la doccia e poi torna”. No. Sporco e vestito a festa. Si pone l’anello al dito al pari di suo padre. Ha sandali nuovi ai piedi. Sta in mezzo alla festa, tra la gente. Qualcosa di simile a quando noi, se qualche volta ci è capitato, ci siamo confessati prima della Messa e immediatamente ci siamo trovati “rivestiti” e nel mezzo di una cerimonia. E’ uno stato di vergognata dignità.

Vergognata dignità

Soffermiamoci su quella “vergognata dignità” di questo figlio prodigo e prediletto. Se ci sforziamo, serenamente, di mantenere il cuore tra questi due estremi – la dignità e la vergogna – senza tralasciare nessuno di essi, forse possiamo percepire come batte il cuore di nostro Padre. Era un cuore che batteva di ansia, quando tutti i giorni saliva sul terrazzo a guardare. Cosa guardava? Se il figlio tornasse… Ma in questo punto, in questo posto dove ci sono dignità e vergogna, possiamo percepire come batte il cuore di nostro Padre. Possiamo immaginare che la misericordia ne sgorga come sangue. Che Egli esce a cercarci – noi peccatori –, che ci attira a sé, ci purifica e ci lancia nuovamente, rinnovati, verso tutte le periferie, a portare misericordia a tutti. Il suo sangue è il Sangue di Cristo, sangue della Nuova ed Eterna Alleanza di misericordia, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati. Questo sangue lo contempliamo mentre entra ed esce dal suo Cuore, e dal cuore del Padre. E’ l’unico nostro tesoro, l’unica cosa che abbiamo da offrire al mondo: il sangue che purifica e pacifica tutto e tutti. Il sangue del Signore che perdona i peccati. Il sangue che è vera bevanda, che risuscita e dà vita a ciò che è morto a causa del peccato.

Nella nostra preghiera, serena, che va dalla vergogna alla dignità e dalla dignità alla vergogna – tutte e due insieme – chiediamo la grazia di sentire tale misericordia come costitutiva di tutta la nostra vita; la grazia di sentire come quel battito del cuore del Padre si unisca con il battito del nostro. Non basta sentire la misericordia di Dio come un gesto che, occasionalmente, Egli fa perdonandoci qualche grosso peccato, e per il resto ci aggiustiamo da soli, autonomamente. Non basta.

Sant’Ignazio propone un’immagine cavalleresca propria della sua epoca, ma poiché la lealtà tra amici è un valore perenne, può aiutarci. Egli afferma che, per sentire «confusione e vergogna» per i nostri peccati (e non smettere di sentire la misericordia) possiamo far uso di un esempio: immaginiamo «un cavaliere che vada davanti al suo re e a tutta la sua corte, pieno di vergogna e confuso per averlo molto offeso, dal momento che da parte del re aveva in precedenza ricevuto molti doni e molte grazie» (Esercizi Spirituali, 74). Immaginiamo quella scena. Tuttavia, seguendo la dinamica del figlio prodigo nella festa, immaginiamo questo cavaliere come uno che, invece di essere svergognato davanti a tutti, il re, al contrario, lo prenda inaspettatamente per la mano e gli restituisca la sua dignità. E vediamo che non solo lo invita a seguirlo nella sua battaglia, ma che lo pone alla testa dei suoi compagni. Con quale umiltà e lealtà lo servirà questo cavaliere d’ora in avanti! Questo mi fa pensare all’ultima parte del capitolo 16 di Ezechiele, l’ultima parte.

Sia che si senta come il figlio prodigo festeggiato, sia come il cavaliere sleale trasformato in superiore, l’importante è che ciascuno si ponga nella tensione feconda in cui la misericordia del Signore ci colloca: non solamente di peccatori perdonati, ma di peccatori a cui è conferita dignità. Il Signore non solamente ci pulisce, ma ci incorona, ci dà dignità.

Simon Pietro ci offre l’immagine ministeriale di questa sana tensione. Il Signore lo educa e lo forma progressivamente e lo esercita a mantenersi così: Simone e Pietro. L’uomo comune, con le sue contraddizioni e debolezze, e quello che è pietra, quello che possiede le chiavi, quello che guida gli altri. Quando Andrea lo conduce a Cristo, così com’è, vestito da pescatore, il Signore gli dà il nome di Pietra. Appena finisce di lodarlo per la professione di fede che proviene dal Padre, già gli rimprovera duramente la tentazione di ascoltare la voce dello spirito maligno che gli dice di star lontano dalla croce. Lo inviterà a camminare sulle acque e lascerà che incominci ad affondare nella sua stessa paura, per poi subito tendergli la mano; non appena si confessi peccatore gli darà la missione di essere pescatore di uomini; lo interrogherà ripetutamente sul suo amore, facendogli sentire dolore e vergogna per la sua slealtà e codardia, ma per tre volte pure gli affiderà il compito di pascere le sue pecore. Sempre questi due poli.

Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Cosa sentiamo quando la gente ci bacia la mano e guardiamo la nostra miseria più intima e siamo onorati dal Popolo di Dio? Lì c’è un’altra situazione per capire questo. Sempre il contrasto. Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Lo stesso spazio. Sporchi, impuri, meschini, vanitosi – è peccato di preti, la vanità – egoisti e, nello stesso tempo, con i piedi lavati, chiamati ed eletti, intenti a distribuire i pani moltiplicati, benedetti dalla nostra gente, amati e curati. Solo la misericordia rende sopportabile quella posizione. Senza di essa o ci crediamo giusti come i farisei o ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. In entrambi i casi ci si indurisce il cuore. O quando ci sentiamo giusti come i farisei, o quando ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. Io non mi sento degno, ma non devo allontanarmi: lì devo essere, nella vergogna con la dignità, tutt’e due insieme.

Approfondiamo un po’ di più. Ci domandiamo: Perché è così feconda questa tensione fra miseria e dignità, fra distanza e festa? Direi che è feconda perché mantenerla nasce da una decisione libera. E il Signore agisce principalmente sulla nostra libertà, benché ci aiuti in ogni cosa. La misericordia è questione di libertà. Il sentimento sgorga spontaneo e quando affermiamo che è viscerale sembrerebbe che sia sinonimo di “animale”. Ma in realtà gli animali non conoscono la misericordia “morale”, anche se alcuni possono sperimentare qualcosa di tale compassione, come un cane fedele che rimane al fianco del suo padrone malato. La misericordia è una commozione che tocca le viscere, e tuttavia può scaturire anche da un’acuta percezione intellettuale – diretta come un raggio ma non per questo meno complessa –: si intuiscono molte cose quando si prova misericordia. Si comprende, per esempio, che l’altro si trova in una situazione disperata, al limite; che gli succede qualcosa che supera i suoi peccati o le sue colpe; si comprende anche che l’altro è uno come me, che ci si potrebbe trovare al suo posto; e che il male è tanto grande e devastante che non si risolve solo per mezzo della giustizia… In fondo, ci si convince che c’è bisogno di una misericordia infinita come quella del cuore di Cristo per rimediare a tanto male e tanta sofferenza, come vediamo che c’è nella vita degli esseri umani… Se la misericordia va al di sotto di quel livello, non serve. Tante cose comprende la nostra mente solo vedendo qualcuno gettato per la strada, scalzo, in una mattina fredda, o vedendo il Signore inchiodato alla croce per me!

Inoltre, la misericordia si accetta e si coltiva, o si rifiuta liberamente. Se uno si lascia prendere, un gesto tira l’altro. Se uno passa oltre, il cuore si raffredda. La misericordia ci fa sperimentare la nostra libertà ed è lì dove possiamo sperimentare la libertà di Dio, che è misericordioso con chi è misericordioso (cfr Dt 5,10), come disse a Mosè. Nella sua misericordia il Signore esprime la sua libertà. E noi la nostra.

Possiamo vivere molto tempo “senza” la misericordia del Signore. Vale a dire, possiamo vivere senza averne coscienza e senza chiederla esplicitamente, finché uno si rende conto che “tutto è misericordia”, e piange con amarezza di non averne approfittato prima, dal momento che ne aveva tanto bisogno!

La miseria di cui parliamo è la miseria morale, non trasferibile, quella per cui uno prende coscienza di sé stesso come persona che, in un momento decisivo della sua vita, ha agito di propria iniziativa: ha fatto una scelta e ha scelto male. Questo è il fondo che bisogna toccare per sentire dolore per i peccati e pentirsi veramente. Perché in altri ambiti uno non si sente così libero, né sente che il peccato influisce negativamente su tutta la sua vita e pertanto non sperimenta la propria miseria, e in questo modo si perde la misericordia, che agisce solo a tale condizione. Uno non va in farmacia e dice: “Per misericordia, mi dia un’aspirina”. Per misericordia chiede che gli diano della morfina per una persona in preda ai dolori atroci di una malattia terminale. O tutto o niente. Si va in fondo o non si capisce nulla.

Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il Cuore di Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del Padre e dello Spirito. Ricordo quando Pio XII ha fatto l’Enciclica sul Sacro Cuore, ricordo che qualcuno diceva: “Perché un’Enciclica su questo? Sono cose da suore…”. E’ il centro, il Cuore di Cristo, è il centro della misericordia. Forse le suore capiscono meglio di noi, perché sono madri nella Chiesa, sono icone della Chiesa, della Madonna. Ma il centro è il cuore di Cristo. Ci farà bene questa settimana o domani leggere Haurietis aquas… “Ma è preconciliare!” – Sì, ma fa bene! Si può leggere, ci farà molto bene! Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il cuore di Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del Padre e dello Spirito. È un cuore che sceglie la strada più vicina e che lo impegna. Questo è proprio della misericordia, che si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro, si rivolge a ciò che è personale con ciò che è più personale, non “si occupa di un caso” ma si impegna con una persona, con la sua ferita. Guardiamo al nostro linguaggio. Quante volte, senza accorgerci, ci viene da dire: “Ho un caso…”. Fermati! Di’ piuttosto: “Ho una persona che…”. Questo è molto clericale: “Ho un caso…”, “ho trovato un caso…”. Anche a me viene spesso. C’è un po’ di clericalismo: ridurre la concretezza dell’amore di Dio, di quello che ci dà Dio, della persona, a un “caso”. E così mi distacco e non mi tocca. E così non mi sporco le mani; e così faccio una pastorale pulita, elegante, dove non rischio niente. E pure dove – non scandalizzatevi! – non ho la possibilità di un peccato vergognoso. La misericordia va oltre la giustizia e lo fa sapere e lo fa sentire; si resta coinvolti l’uno con l’altro. Conferendo dignità – e questo è decisivo, da non dimenticare: la misericordia dà dignità – la misericordia eleva colui verso il quale ci si abbassa e li rende entrambi pari, il misericordioso e colui che ha ottenuto misericordia. Come la peccatrice del Vangelo (Lc 7,36-50), alla quale è stato perdonato molto, perché ha amato molto, e aveva peccato molto.

Per questo il Padre ha bisogno di fare festa, affinché venga restaurato tutto in una sola volta, restituendo a suo figlio la dignità perduta. Questo permette di guardare al futuro in un modo nuovo. Non che la misericordia non consideri l’oggettività del danno provocato dal male. Però le toglie potere sul futuro, - e questo è il potere della misericordia - le toglie potere sulla vita che scorre in avanti. La misericordia è il vero atteggiamento di vita che si oppone alla morte, che è l’amaro frutto del peccato. In questo è lucida, non è per nulla ingenua la misericordia. Non è che non veda il male, ma guarda a quanto è breve la vita e a tutto il bene che rimane da fare. Per questo bisogna perdonare totalmente, perché l’altro guardi in avanti e non perda tempo nel colpevolizzarsi e nel compatire sé stesso e rimpiangere ciò che ha perduto. Mentre ci si avvia a curare gli altri, si farà anche il proprio esame di coscienza e, nella misura in cui si aiutano gli altri, si riparerà al male commesso. La misericordia è fondamentalmente speranzosa. E’ madre di speranza.

Lasciarsi attrarre e inviare dal movimento del cuore del Padre significa mantenersi in quella sana tensione di dignità vergognata. Lasciarsi attrarre dal centro del suo cuore, come sangue che si è sporcato e andando a dare vita alle membra più lontane, perché il Signore ci purifichi e ci lavi i piedi; lasciarsi inviare ricolmi dell’ossigeno dello Spirito per portare vita a tutte le membra, specialmente a quelle più lontane, fragili e ferite.

Un prete raccontava ­­– questo è storico – di una persona che viveva per la strada, e che alla fine andò a vivere in un ostello. Era uno rinchiuso nella sua amarezza, che non interagiva con gli altri. Persona colta, si resero conto più tardi. Qualche tempo dopo, quest’uomo venne ricoverato in ospedale a causa di una malattia terminale e raccontava al sacerdote che, mentre era lì, preso dal suo nulla e dalla sua delusione per la vita, quello che si trovava nel letto accanto al suo gli chiese di passargli la sputacchiera e che poi la svuotasse. E raccontò che quella richiesta che veniva da qualcuno che ne aveva veramente bisogno e che stava peggio di lui, gli aprì gli occhi e il cuore a un sentimento potentissimo di umanità e a un desiderio di aiutare l’altro e di lasciarsi aiutare da Dio. E si è confessato. Così, un semplice atto di misericordia lo collegò con la misericordia infinita, ebbe il coraggio di aiutare l’altro e poi si lasciò aiutare: morì confessato e in pace. Questo è il mistero della misericordia.

Così, vi lascio con la parabola del padre misericordioso, una volta che ci siamo “situati” in quel momento in cui il figlio si sente sporco e rivestito, peccatore al quale è stata resa dignità, vergognoso di sé e orgoglioso di suo padre. Il segno per sapere se uno è ben situato è il desiderio di essere, d’ora innanzi, misericordioso con tutti. Qui sta il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra, quel fuoco che accende altri fuochi. Se non si accende la fiamma, vuol dire che uno dei poli non permette il contatto. O l’eccessiva vergogna che non pela i fili e, invece di confessare apertamente “ho fatto questo e questo”, si copre; o l’eccessiva dignità, che tocca le cose con i guanti.

Gli eccessi della misericordia

Una parolina per finire sugli eccessi della misericordia.

L’unico eccesso davanti alla eccessiva misericordia di Dio è eccedere nel riceverla e nel desiderio di comunicarla agli altri. Il Vangelo ci mostra tanti begli esempi di persone che esagerano pur di riceverla: il paralitico, che gli amici fanno entrare dal tetto in mezzo al luogo dove il Signore stava predicando – esagerano -; il lebbroso, che lascia i suoi nove compagni e ritorna glorificando e ringraziando Dio a gran voce e si inginocchia ai piedi del Signore; il cieco Bartimeo, che riesce a fermare Gesù con le sue grida - e riesce anche a vincere la “dogana dei preti” per andare dal Signore; la donna emorroissa che, nella sua timidezza, si ingegna per ottenere una vicinanza intima con il Signore e che, come dice il Vangelo, quando toccò il mantello il Signore avvertì che usciva da lui una dynamis. Sono tutti esempi di quel contatto che accende un fuoco e sprigiona la dinamica: sprigiona la forza positiva della misericordia. C’è anche la peccatrice, le cui eccessive manifestazioni d’amore verso il Signore col lavargli i piedi con le sue lacrime e asciugarglieli coi suoi capelli, sono per il Signore segno del fatto che ha ricevuto molta misericordia e perciò la esprime in quel modo esagerato. Ma sempre la misericordia esagera, è eccessiva! Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati…, sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa. E questo non si comprende se non è in chiave di speranza, in chiave apostolica e in chiave di chi ha ricevuto misericordia per dare a sua volta misericordia.

Possiamo concludere pregando con il magnificat della misericordia, il Salmo 50 del Re Davide, che recitiamo alle lodi tutti i venerdì. È il magnificat di «un cuore contrito e umiliato» che, nel suo peccato, ha la grandezza di confessare il Dio fedele, che è più grande del peccato. Dio è più grande peccato! Situati nel momento in cui il figlio prodigo si aspettava di essere trattato con freddezza e, invece, il Padre lo mette nel bel mezzo di una festa, possiamo immaginarlo mentre prega il Salmo 50. E pregarlo a due cori con lui, noi e il figlio prodigo. Possiamo ascoltarlo che dice: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità…». E noi dire: «Sì, le mie iniquità (anch’io) le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi». E ad una voce dire: «Contro di te, (Padre,) contro te solo ho peccato».

E preghiamo a partire da quell’intima tensione che accende la misericordia, quella tensione tra la vergogna che afferma: «Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe»; e quella fiducia che dice: «Aspergimi con rami d’issopo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve». Fiducia che diventa apostolica: «Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno».