Quel giorno don Ivo aveva guidato la sua Punto rossa fino al paese vicino,
per confessare la signora Gina, che non si poteva muovere per gravi disguidi
deambulatori provocati da persistente unghia d’alluce incarnita. Al ritorno,
alla vista peraltro acuta del sacerdote al volante si oppose un insidioso banco
di nebbia, che occultò un trattore, temporaneamente abbandonato sul ciglio
della strada da un contadino che aveva esagerato con gli asparagi, notoriamente
diuretici. Così, mentre l’agricolo incontinente annaffiava grazie al personale
serbatoio i campi limitrofi, don Ivo s’incagliò col muso della Punto contro il
didietro del trattore. Un botto agghiacciante, nonostante l’andatura molto
prudente dell’autista, che nei confronti della nebbia aveva sempre nutrito una
sorta di sacro rispetto, molto vicino al timore reverenziale.
Don Ivo uscì indenne dall’abitacolo, tirando un
sospiro di sollievo. Non sapeva che il peggio doveva ancora venire: il
contadino, spaventato dal frastuono, aveva chiuso frettolosamente la patta
dell’idrante e s’era conficcato i dentini della lampo nei gioielli di famiglia,
auto-infliggendosi sommo dolore fisico e anche morale, perché quando l’uomo
viene colpito nell’intimo della propria virilità, l’umiliazione prevale su
tutto.
L’agricolo, ferito nelle tenere carni e nell’orgoglio
di maschio, corse come una furia contro il povero parroco, minacciandolo di
morte per strangolamento di quella stessa zona anatomica che tanto dolore gli
stava arrecando.
Seriamente spaventato, don Ivo, che in gioventù aveva
vinto tutte le corse campestri della sua regione, si diede alla fuga in mezzo
alla campagna. Solo quando fu certo di aver seminato l’inseguitore, si fermò a
tirare il fiato e chiamò con il cellulare il cappellano, don Luigi. Il giovane
pretino, però, aveva dimenticato il telefonino dal salumiere, dove aveva
acquistato un etto di prosciutto crudo per la signora Pina, che non poteva
muoversi di casa perché la Ketty, la sua cagnolina stava partorendo.
Così il salumiere, rispose alla chiamata, nella speranza
di scoprire a chi appartenesse quel cellulare abbandonato sul bancone.
«Pronto? Chi parla?».
«Sono don Ivo! Ma lei non è don Luigi!».
«Cosa? Chi? Non sento niente!».
«Sono don Ivo! Avvisi don Luigi che ho avuto un
incidente e mi sono perso! Perso in mezzo ai campi!».
Si sa, in questi frangenti la batteria del cellulare è
sempre scarica. Quella di don Ivo non fece eccezione, e il telefonino gli si
spense in mano con un flebile lamento.
«Chi era?», chiese la signora Tina, moglie del
salumiere.
«Una notizia terribile!», rispose l’uomo sconvolto:
«Era don Luigi. Diceva che don Ivo ha avuto un incidente e l’abbiamo perso!».
La Tina cacciò un urlo degno di Tarzan: «Nooooo! Don
Ivo! Don Ivo! Nooooo!»
La povera donna, in lacrime, si precipitò fuori dal
negozio del marito, attraversò di corsa la piazza, attirando mezzo paese coi
suoi lamenti, e fece irruzione in chiesa, dove le pie donne recitavano il
rosario.
Un’ora dopo, don Ivo parcheggiò la bici del contadino
incontinente-ferito-rinsavito-pentito, che aveva cortesemente prestato un mezzo
di locomozione al sacerdote, chiedendogli perdono per averlo minacciato di
strozzamento intimo.
Il parroco si chiese subito come mai le campane
suonassero lugubri e lenti rintocchi. Che gli era preso al sacrestano
campanaro? Che fosse morto qualcuno d’importante?
Entrò in chiesa e si trovò nel bel mezzo del girone
infernale del pianto. Tre quarti del paese era lì. Alcuni parrocchiani erano
accasciati in ginocchio, altri in piedi con le mani protese verso il cielo.
Tutti piangevano, emettendo alti lamenti, senza vergogna. La Tina ululava: «Don
Ivoooo! Don Ivo mioooo! Perché sei morto? Perché? Eri così bravo che, quando
predicavi, non si capiva nienteeeee!».
Durante i minuti successivi, qualcuno accusò un malore
credendo di ravvisare in don Ivo le sembianze di un fantasma, ma alla fine
l’equivoco venne chiarito. Con la stessa rapidità con cui il pianto s’era
propagato fra la folla, si diffuse la gioia del riabbracciare il redivivo. Don
Ivo riuscì a sopravvivere a stento alla morsa di cotanto affetto. Seguirono
festeggiamenti luculliani, con salami nostrani e vino di quello buono.
Ma ciò che turbò il sonno di don Ivo, quella notte, fu
la frase della signora Tina: “Eri così bravo che, quando predicavi, non si
capiva niente».
Quando, 10 anni terrestri prima di quest’episodio,
l’Alto Ispettorato Scientifico Stellare aveva inviato nel mondo degli umani il
ricercatore inter-specie di nome Hivk, il Consiglio degli etologi gli aveva
consigliato all’unanimità di mescolarsi agli studenti di teologia di un
seminario cattolico e di prendere i voti, per poi utilizzare le confidenze dei
fedeli – non le confessioni, perché sarebbe stato scorretto perfino per un
extraterrestre – e l’osservazione del loro comportamento come materiale
scientifico di ricerca. E così il prof. Hivk era divenuto l’amato don Ivo. Da
quando il prete alieno – fra l’altro sinceramente convertito al cattolicesimo –
aveva cominciato a predicare, aveva attribuito il merito dei consensi ottenuti
fra i paesani proprio alla sua perizia nell’ars oratoria. Si era convinto che
la gente tenesse in così grande considerazione la sua opinione, quasi
esclusivamente grazie alla sua abilità extraterrestre di mantenere viva
l’attenzione degli ascoltatori con figure retoriche trascendenti i confini
della galassia. La signora Tina, in pochi secondi, aveva insinuato il dubbio
nelle certezze scientifiche che Hivk aveva consolidato con anni di rilevamenti
dal pulpito.
L’indomani era sabato, e don Ivo come sempre si
sedette nel suo studio per comporre l’omelia domenicale. Di solito scriveva di
getto anche sette pagine di sagaci riflessioni. Quel giorno… il vuoto. Gli era
sopraggiunto un blocco psicologico. La Tina, con il suo ingenuo affetto,
l’aveva distrutto!
Fu così che don Ivo, quella domenica, arrivato alla
predica, facendo finta di niente, tirò di lungo, la saltò a piè pari.
A fine Messa, mentre ripiegava i paramenti, vide
entrare in sacrestia il medico, il dott. Draghetti, con la gentile consorte.
«Ecco – pensò don Ivo -. Ora questi saggi terrestri mi domanderanno come mai ho
saltato la predica!».
Ma il dottore gli strinse la mano sorridendo: «Grazie,
don Ivo! Grazie! Come sempre lei ci illumina!».
Don Ivo, perplesso, chiese: «Ma l’omelia?».
Rispose la signora, mentre il dottore annuiva con
sincera approvazione: «Stupenda la sua omelia, don Ivo! Come sempre!».
Quella sera il prof. Hivk scrisse all’Alto
Ispettorato:
«Esimi colleghi, mi duole comunicarvi che le ricerche
da me finora condotte si sono rivelate del tutto inesatte…».
In quel momento, Cassandra, la gatta rossa della
signora Nina, fuggita dal suo giardino ed entrata nella canonica, saltò sulla
tastiera di don Ivo, notoriamente allergico al pelo di felino. Il povero prete
alieno balzò indietro urlando alla belva di sloggiare. Ma la miciona dispettosa
zampettò a raffica, 2600 battute e, con l’abilità che solo i gatti hanno di far
partire email a casaccio, inviò l’insensato messaggio all’Alto Ispettorato.
Il povero prof. Hivk si preoccupò tantissimo: «Cosa
penseranno ora di me? Ricevere una lettera di caratteri sconnessi!».
Attirò la gatta in cucina, aprendo una scatoletta di
filetti di sgombro, la chiuse lì dentro e tornò di corsa davanti al pc. In quel
momento arrivò la risposta dell’Alto Ispettorato:
«Stupenda la sua email, prof. Hivk! Come sempre!».
Troppo bello !!!! Grazie!
RispondiEliminagrazie a te, cara Gabriella, per tutto quello che sei e che fai. che il Signore ti benedica.
EliminaBellissimo!
RispondiEliminaciao Alessandro, un caro saluto.
EliminaDon Ivo,don Ivo, ma quante ne combini, per essere un extraterrestre sei proprio un tecnologico svampito.
RispondiEliminaciao Mario, un caro saluto dalla mia galassia....
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